Con riferimento al testo, rispondi alla seguente domanda.
L’aut-aut tra avere ed essere non e' un’alternativa che si imponga al comune buon senso. Sembrerebbe che l’avere costituisca una normale funzione della nostra esistenza, nel senso che, per vivere, dobbiamo avere oggetti. Inoltre, dobbiamo avere cose per poterne godere. In una cultura nella quale la meta suprema sia l’avere – e anzi l’avere sempre piu' – e in cui sia possibile parlare di qualcuno come una persona che “vale un milione di dollari”, come puo' esserci un’alternativa tra avere ed essere? Si direbbe, al contrario, che l’essenza vera dell’essere sia l’avere; che, se uno non ha nulla, non e' nulla. Pure, i grandi Maestri di Vita hanno fatto proprio dell’aut-aut tra avere ed essere il nucleo centrale dei rispettivi sistemi. Il Buddha insegna che, per giungere allo stadio supremo dello sviluppo umano, non dobbiamo aspirare ai possessi. E Gesu': “Perche' chi vorra' salvare la sua vita, la perdera'; ma chi avra' perduto la propria vita per me, colui la salvera'. Infatti che giova all’uomo l’aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto o rovinato se stesso?” (Luca, IX, 24-25). Maestro Eckhart insegnava che non avere nulla e rendersi aperti e “vuoti”, fare cioe' in modo che il proprio io non ostacoli il cammino, costituisce la condizione per il raggiungimento di ricchezza e forza spirituali. Marx affermava che il lusso e' un vizio esattamente come la poverta' e che dovremmo proporci come meta quella di essere molto, non gia' di avere molto. Per molti anni sono rimasto profondamente colpito da questa differenziazione, e quel che ho visto mi ha indotto alla conclusione che la differenza in questione, in una con quella tra amore per la vita e amore per la morte, costituisce il problema assolutamente fondamentale dell’esistenza. […] “Avere” e' un’espressione ingannevolmente semplice. Ogni essere umano ha qualcosa: un corpo, indumenti, un ricovero, fino all’uomo o alla donna d’oggi che hanno un’auto, un televisore, una lavatrice, e via dicendo. Vivere senza avere alcunche' e' virtualmente impossibile. Perche' mai, dunque, l’avere puo' costituire un problema? D’altro canto, la vicenda linguistica dell’“avere” sta a indicare che la parola costituisce davvero un problema. Per coloro i quali ritengono che l’avere sia una categoria assolutamente naturale dell’esistenza umana, potra' risultare sorprendente apprendere che molte lingue non hanno un termine equivalente ad “avere”. Cosi' a esempio, in ebraico “io ho” deve essere espresso mediante la forma indiretta jesh li (“e' a me”, e' mio). In effetti, le lingue in cui il possesso viene espresso in questa forma anziche' con l’“io ho”, sono la maggioranza. Val la pena di notare che, nello sviluppo di molte lingue, e' accaduto che l’espressione “e' a me” sia stata in un secondo tempo accompagnata e sostituita dall’espressione “io ho”; ma non accade mai che l’evoluzione si verifichi in senso contrario, fatto questo che induce a ritenere che la parola designante l’avere si sviluppi in rapporto allo sviluppo della proprieta' privata, mentre e' assente in societa' in cui la proprieta' e' prevalentemente funzionale, in cui e' cioe' un possesso d’uso. E. Fromm, Avere o essere?, trad. it. di Francesco Saba Sardi, Mondadori, Milano 1977.
Quale delle seguenti affermazioni NON è deducibile dal testo?
Per Marx la povertà è un vizio
L’espressione “avere” è tutt’altro che semplice
L’essere costituisce una normale funzione della nostra esistenza
C’è differenza tra la proprietà privata e la proprietà funzionale